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Per americani e tedeschi una leccornia, nel sud
Italia ricercatissimo e molto apprezzato in
varie località, difeso talora con la lupara
nelle prime fasi di crescita, o raccolto come un
vero e proprio trofeo per grandi pranzi di
gruppo. Ma molti libri lo liquidano come
commestibile mediocre o addirittura come “non
commestibile”.
Cerchiamo di capire come
stanno realmente le cose. |
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Bellissimo è l’incontro con
questo allegro e spettacolare fungo dai colori
sgargianti, che dichiara la sua presenza in
lontananza come una luce accesa nel buio del
bosco. |
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Laetiporus sulphureus,
cresce su tantissime essenze arboree, in
particolare su latifoglie e anche su alberi da
frutto, da fine primavera a inizio autunno dopo
abbondanti piogge. Qui, al Parco del Lura su
ceppo di Ontano, è presentato in una delle sue
molteplici forme, nel suo primissimo stadio di
crescita, quando, per i suoi colori sgargianti,
appare come una luce accesa nel buio del bosco. |
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Parliamo di Laetiporus sulphureus, una Polyporacea formata da tante mensole
irregolarmente sovrapposte, di dimensioni
notevoli, fino a 50 cm di larghezza, che cresce
su tronchi e ceppaie di tantissimi alberi, in
particolare di latifoglie, anche da frutto,
dalla tarda primavera al primo autunno. Inconfondibile da giovane per
i colori vivaci, giallo zolfo aranciato e giallo
zolfo, origine del suo nome specifico. I pori
secernono tipicamente guttule lattiginose e la
carne è giallastra, succosa, spessa, compatta e
tenace, con odore gradevolmente fungino.
Invecchiando diviene invece completamente
bianco-grigiastro, con carne gessosa e odore
sgradevole, più facilmente confondibile con
altre Polyporaceae. |
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Laetiporus
sulphureus è un fungo cosmopolita. In
particolare negli Stati Uniti è conosciuto
e ricercato come una vera ghiottoneria,
indicato da più parti come uno dei migliori
funghi commestibili, quando non addirittura come
il migliore in assoluto. Il sapore e la
consistenza della carne, del tutto simile alla
carne bianca di pollo, gli hanno valso
l’appellativo di “chicken-of-the-woods” (“pollo
dei boschi”), nome volgare con il quale è
comunemente indicato anche in trattati
scientifici. Questa caratteristica di
Laetiporus
sulphureus è considerata, a quelle
latitudini,
tanto marcata da farlo inserire nelle diete
vegetariane proprio in sostituzione della carne
di pollo, cucinato come tale in tutte le sue
differenti modalità. |
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Ma anche in Europa, e
segnatamente in Germania,
Laetiporus
sulphureus è considerato una leccornia. Come
pure in molte località del sud Italia e della
Sicilia, dove ha una antica e consolidata
tradizione popolare e dove era, ed è,
accanitamente ricercato e aspramente conteso. |
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Laetiporus sulphureus
è un fungo molto popolare negli Stati Uniti,
dove è conosciuto come “chicken-of-the-woods”
(“pollo dei boschi”) in quanto cucinato risulta
del tutto simile alla carne bianca di pollo,
o anche come “sulphur shelf “ (“mensola
di zolfo”), e non è difficile capire il perché
guardando questa immagine (del medesimo
esemplare dell’immagine precedente ripresa solo
alcuni giorni dopo) |
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In Puglia è il popolare “fungo del carrubo” o
meglio "fungu ti cornula" (la cornula è appunto
il carrubo, scientificamente Ceratonia siliqua).
In effetti il carrubo è la pianta che in Puglia
fornisce le più copiose crescite della specie,
ed è la sola sulla quale viene raccolto. Forse
per il nomignolo dialettale che lo caratterizza,
forse per tradizione popolare figlia di qualche
disavventura alimentare provocata dal fungo
raccolto su qualche altra pianta. Di fatto
“Fungu ti cornula” è straricercato e
straconsumato in tutta la Puglia e nelle
bancarelle della provincia di Bari arriva a
toccare prezzi veramente stratosferici. |
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In Sicilia si narra che chi
trovava un esemplare di questo fungo appena
spuntato, ne seguiva la crescita annaffiandolo
periodicamente e dormendo addirittura sotto
l’albero con la lupara in spalla, mentre in
Campania la ricerca avveniva (e avviene)
prevalentemente nei castagneti, portandosi
appresso, per poter raccogliere esemplari
cresciuti nella parte alta del tronco, o una
lunga scala oppure un martello, grossi e lunghi
chiodi e possibilmente un ragazzino leggero e
agile: i chiodi venivano piantati all’albero, il
ragazzino saliva per raccogliere il fungo,
quindi scendendo recuperava i chiodi. |
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A dispetto di tutto ciò,
alcuni libri nostrani, anche autorevoli,
liquidano questo fungo come “commestibile con
cautela”, “commestibile mediocre” o addirittura
“non commestibile”. Il motivo è legato alla
segnalazione di casi di disturbi
gastrointestinali seguiti alla sua ingestione.
Tuttavia, ricercatori americani che hanno
indagato a lungo sulla commestibilità del loro
“pollo dei boschi”, si limitano a fornire alcune
semplici precauzioni per evitare fastidiosi mal
di pancia: l’utilizzo di esemplari molto
giovani, cioè nei primissimi stadi dello
sviluppo, solo se cresciuti su legno di
latifoglie e sempre consumati previa prolungata
cottura (e senza mai eccedere nelle quantità e
nei bicchieri di vino, aggiungiamo noi). |
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Il risultato è che comunque
su questo bellissimo fungo vi sono pareri
assolutamente divergenti, come succede spesso in
questi casi, e da alcuni è considerato “una
leccornia”, per altri “ci sono cose decisamente
migliori e sicuramente senza rischio
tossicologico a cui rivolgere l'interesse
alimentare”. |
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In Italia
Laetiporus sulphureus è conosciuto con differenti nomi volgari,
caratteristici di ogni località dove ha una
propria storia popolare e una propria tradizione
culinaria. |
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Tra le mille storie abbiamo
raccolto quella legata allo splendido territorio
di Castiglione del Genovesi, un piccolo centro
montano a 650 metri slm, in provincia di
Salerno, dove questo fungo è conosciuto come
“O’
Lurinie” (in altre località campane
“Paglianucca”) ed è ricercato fin dai tempi
antichi dai
“Munitari”,
i cercatori locali di funghi (i
“Muniti”),
nei castagneti che circondano il paese. |
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Castiglione del Genovesi, immerso nei castagneti
alle pendici dei
tre monti che abbracciano il paese, Monna,
Stella e Monte. |
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“Munitar” in cerca di “Muniti” nel castagneto
“O’ RUSS”, uno dei tanti castagneti che
circondano Castiglione del Genovesi. |
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Nei
castagneti di Castiglione del Genovesi si
cercano “porcini” guardando in basso e “o’
lurinie” guardando in alto. |
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Nel caso di raccolte
abbondanti, i “munitari” venivano accolti in
paese come eroi al rientro da una guerra
vittoriosa. Gli esemplari di “o’ lurinie”,
trattati come veri e propri trofei, venivano
portati nell’osteria di donna Amalia (“Maliett”), che li cucinava secondo l’antichissima ricetta locale e
li serviva accompagnati da buon vino rosso; ed
era questa veramente una grande occasione di
socializzazione per gli abitanti di Castiglione
del Genovesi ! |
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Donna Amalia, erede delle
secolari tradizioni locali, applicava molto bene
le precauzioni che oggi ci suggeriscono i
ricercatori americani per poter consumare
Laetiporus sulphureus. Infatti lo utilizzava raccolto su castagno,
lo sottoponeva ad una adeguata cottura e,
soprattutto, il fungo doveva essere
“giòvn e
tiènnr comme o’llard“ (giovane e tenero come
il lardo). Oggi purtroppo l’osteria di “Maliett”
non c’è più, ma questo antico piatto è tuttaltro
che dimenticato e ancora oggi fa parte della
tradizionale cucina Castiglionese. |
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Per poter essere consumato senza problemi, Laetiporus sulphureus
deve provenire da legno di latifoglie, deve
essere ben cotto e, soprattutto, deve essere
“giòvn e
tiènnr
comme o’llard“ (giovane e tenero come il
lardo), cioè assolutamente immaturo, come
l’esemplare qui rappresentato. Infatti questo
fungo rimane sul tronco nel quale è cresciuto
per molti mesi, invecchiando lentamente, e solo
nei primi giorni di vita ha le caratteristiche
indicate dai “ricercatori americani” e da
“Maliett”
per poter essere consumato come una vera e
propria ghiottoneria, e soprattutto senza
incorrere in antipatici “mal di pancia”. |
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Carpoforo
composto da numerose mensole
dalla forma irregolare e
capricciosa, ogni volta
differenti, gibbose, protese
orizzontalmente, sovrapposte,
20-50 cm complessivamente; con
l’orlo ondulato e suddiviso in
lobi da solchi profondi; riunite
alla base in un’unica massa, a
volte in un unico breve tronco,
biancastro, e poi giallastro.
Sopra sono di un bel colore
giallo più o meno aranciato, con
bordo giallo vivo. Sotto
l’imenio è costituito di piccoli
pori, prima rotondi poi
angolosi, color giallo zolfo,
essudanti stille rugiadose
bianco-giallognole. Quando le
spore sono mature, ricoprono di
densa cipria giallina le mensole
sottostanti. Carne spessa,
molle, succosa, giallognola; di
odore grato, di sapore acidulo;
poi diviene leggera, dura,
fragile, ed emana un odore poco
gradevole. Cresce dalla fine
della primavera all’inizio
dell’autunno sui tronchi di
latifoglie, anche da frutto, che
scava e alla lunga fa crollare;
meno frequente sui tronchi di
conifere e sui tronchi
abbattuti.
Laetiporus
sulphureus
(O’ LURINIE) alla Castiglionese
Antica ricetta per cucinare e
gustare
Laetiporus sulphureus
Olio secondo
la quantità del fungo o
“nù cucchiar a person“ (un
cucchiaio per ogni persona) 2 spicchi
d’aglio 400 gr. di
“pummarol “ (pomodoro
fresco) Sale quanto
basta Peperoncino
piccante quanto basta a piacere Prezzemolo
fresco, una bella manciata
Pulire e
tagliare “ O’ LURINIE ” a pezzi
(meglio se a strisce di 2 / Soffriggere
l’aglio (tagliato in 4 parti),
moderatamente in un tegame
(possibilmente di terracotta) e
toglierlo dopo la doratura. Calare nel
tegame i pezzi / le strisce del
fungo e cuocere per circa 8 / 10
minuti. Aggiungere il
pomodoro, il sale, il
peperoncino e cuocere a fuoco
lento per altri 10 / 15 minuti
circa, mescolando e assaggiando
ogni tanto. Aggiungere la
manciata di prezzemolo,
mescolare e togliere dal fuoco
dopo circa 1 minuto. |
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