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Nella Puglia
meridionale è conosciuto principalmente come
Amarieddu, Amarieddu ti mucchiu, Fung t
mucchi, Mucchiarul, Marieddhru.
Accanitamente ricercato nei cisteti del litorale
è poi consumato in modo rituale. E’ anche
venduto in grandi quantità nei mercati o nelle
caratteristiche bancarelle lungo le strade, ma
per gli ispettorati micologici è specie non
commestibile e quindi non commerciabile. Siamo
entrati in questa interessante realtà per
capirne di più. |
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Lactarius tesquorum,
il ”Lattario del cisto”, con ben evidenti il
cappello “peloso” con sfumatura rosata e il
gambo cortissimo, meno della meta del diametro
del cappello, con una zona anulare rosa
adiacente alle lamelle. (foto C. Agnello) |
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“Il fumo
uccide” scritto sui pacchetti di sigarette
probabilmente non ha mai convinto nessuno a
smettere di fumare, e il fumo è sicuramente e
notoriamente dannoso per la salute. Figuriamoci
se un’intera popolazione che ricerca come ambita
e gustosa preda l’Amarieddu da generazioni,
rinuncia al piacere dei sapori della propria
tradizione per editti legislativi calati
dall’alto, che lo annoverano tra le specie non
commestibili senza motivazioni oggettive. Tanto
più che tra gli almeno 100.000 abituali
consumatori del “lattario del cisto”, sono
veramente rari i casi segnalati di disturbi
gastrointestinali e, secondo fonti attendibili,
sempre ascrivibili a vere e proprie abbuffate. |
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In
realtà
Lactarius tesquorum ha la sola colpa di
essere un Lattario a lattice bianco, una
categoria di funghi indicati come non
commestibili ai corsi per ispettori micologici,
in contrapposizione ai lattari a lattice rosso
vinoso o arancio, considerati invece tutti
commestibili, se pur di maggior o minor pregio.
Una regola semplice, che in un sol colpo tende a
eliminare dalla tavola sia i Lattari realmente
tossici, tutti a lattice bianco, ma anche gli
altri che, se pur non tossici, si ritiene
contengano in quantità più o meno rilevanti
sostanze irritanti per la mucosa gastrica e
intestinale. |
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Una
regola sostanzialmente condivisibile, tuttavia
figlia della micologia del nord Italia, quando
ancora ignara dell’esistenza della secolare
tradizione alimentare del “lattaio del cisto”. |
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Sono
molte le località in Italia e in Europa dove
alcuni Lattari a lattice bianco vengono
consumati dopo trattamenti quali la
prebollitura, ma nella Puglia meridionale, e
segnatamente nelle province di Brindisi, Lecce e
Taranto, vi è una sorta di vera e propria
venerazione per
Lactarius
tesquorum e per il suo gusto
acre-amarognolo; nessun divieto o il fatto che
non sia neppure inserito tra le specie
commestibili e commerciabili è stato in grado di
ridurne il consumo negli anni. |
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Cercare
di convincere queste popolazioni della non
commestibilità di Lactarius tesquorum, senza
nessun dato oggettivo a supporto, sortisce come
unico effetto la perdita di credibilità delle
istituzioni di ispettorato e di associazionismo
micologico. |
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Oltre
tutto è singolare che nei corsi di micologia di
base si predichi, per evitare sgradite sorprese,
di consumare solo funghi con una consolidata
tradizione alimentare, poi si voglia inserire un
fungo diffusamente consumato da secoli tra
quelli non commestibili, solo in quanto
appartenente ad una certa categoria di funghi. |
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Stando così le cose,
sarebbe probabilmente meglio inserire Lactarius
tesquorum tra le specie commerciabili a livello
regionale, assecondando una procedura già
avviata in tal senso, lanciando poi una campagna
di sensibilizzazione alle opportune norme di
prudenza e igienico sanitarie a cui attenersi
per il consumo di questo fungo,
norme peraltro raccomandabili per la maggior
parte dei funghi commestibili : |
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1°
Moderarsi nelle quantità per singolo pasto,
evitando più pasti ravvicinati, facendo proprio
l’antico detto “tutto è veleno, nulla è veleno,
è la dose che fa il veleno”; detto
particolarmente appropriato quando si parla di
funghi ancorché “commestibili”, ma valido per
ogni alimento. Consumare in un unico pasto 3 kg
di salsiccia con i peperoni “stenderebbe” 3
persone su 4; e anche il quarto se ripete
l’impresa al pasto successivo. |
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2° Consumare solo funghi in buono stato di conservazione e ben cotti. Ogni alimento deve essere consumato prima che inizino processi di decomposizione in grado di produrre tossine per l’organismo umano; e i funghi contengono proteine facilmente deteriorabili. Inoltre per la maggior parte dei funghi è raccomandata una buona cottura per eliminare le eventuali tossine termolabili, cioè degradabili con il calore. | ||
3°
Essere sicuri della corretta determinazione
della specie che si intende consumare, in quanto
esistono Lattari relativamente simili e
sicuramente tossici. Da alcuni anni la raccolta
per la vendita sulle bancarelle salentine
(tuttoggi “abusiva” e quindi senza controlli)
viene effettuata in grande quantità anche in
altre regioni, aumentando il rischio di
confusione. |
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Così,
una volta inserito
Lactarius tesquorum nell’elenco dei funghi commerciabili, si
potrebbero anche rendere obbligatori controlli
da parte di ispettori micologici prima
dell’esposizione sulle bancarelle. |
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Lattari in vendita. Nei momenti favorevoli si
possono vedere anche
bancarelle con decine di Kg di questi funghi.
(foto C. Agnello) |
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Bancarella salentina con differenti funghi
locali in vendita. Lctarius tesquorum è presente
al centro, in grande quantità. Amanita cesarea
sulla destra, il pregiatissimo “ovolo buono”, a
parità di prezzo sarà l’ultimo a essere venduto
!
(foto C. Agnello) |
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Ma ……., “leccornia” o
“immangiabile” per il sapore sgradevole ? |
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Alle
eterne discussioni se
Lactarius
tesquorum sia da considerarsi commestibile
(perché consumato per secoli da centinaia di
migliaia di persone) o non commestibile (perché
appartenente alla categoria dei Lattari a
lattice bianco), se ne sovrappone un’altra
altrettanto accesa, se cioè sia una leccornia,
oppure presenti proprietà organolettiche tali da
renderlo pressoché “immangiabile”.
Sicuramente il “lattario del cisto” ha un
sapore, diciamo così, un po’ forte, un po’
difficile da accettare; ma perché dubitare della
parola di chi ne detiene la tradizione e lo
giudica, per i propri gusti, una leccornia ? |
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Tutte le
popolazioni nell’antichità hanno imparato a
nutrirsi con quanto gli veniva offerto dalla
natura circostante, utilizzando le ricette più
idonee per ottenerne il meglio come gusto e
digeribilità. L’educazione ai sapori dei frutti
della propria terra (o del proprio mare), sono
poi stati tramandati dalla tradizione di
generazione in generazione. Un individuo che
ingerisce un cibo senza averne l’educazione al
sapore è come un hardware nel quale venga
inserito un file senza il software per poterlo
riconoscere.
E non è
neppure da escludere che ogni popolazione abbia
sviluppato per i propri cibi tradizionali un
idoneo patrimonio enzimatico per poterli meglio
digerire ! |
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Il pericolo viene da
Lactarius mairei |
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Lactarius tesquorum
è fungo meridionale con crescita legata al
cisto. Lo si ritrova dal tardo autunno a tutto
l’inverno, spesso in gruppi di alcuni esemplari
ravvicinati. Morfologicamente ha un aspetto
abbastanza tipico: colore di un giallino-rosato
chiaro; cappello evidentemente cosparso di peli
(villoso) specie al margine, margine che è
arrotolato su se stesso (involuto) fino a
maturità; lamelle bianco-crema-rosate; gambo
cortissimo, il più delle volte con zona anulare
rosata a contatto con le lamelle, sovente
ricurvo e attenuato in basso; carne con odore
debole, alla frattura secernente un lattice
bianco di sapore acre-amarognolo. |
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Tra
i lattari con cappello villoso-pelosetto, il più
simile, per la medesima tonalità rosata, è
Lactarius
torminosus, conosciuto come “Peveraccio
delle coliche”, un nome volgare che la dice
lunga sulle sue caratteristiche alimentari.
Fortunatamente la crescita di questo fungo è
legata alle betulle e di fatto si può escludere
la sua presenza alle latitudini meridionali. |
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Meno simile ma più insidioso è
Lactarius mairei, per la sua possibile crescita nelle medesime
località di Lactarius tesquorum, sotto le querce
che eventualmente circondano il cisto. Si
distingue per il colore ocraceo senza sfumature
rosate e per il gambo mai così corto come in
Lactarius
tesquorum, che in tutti gli stadi di
crescita è sempre inferiore alla metà del
diametro del cappello. |
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Lactarius
torminosus, il “peveraccuio delle coliche” e
Lactarius mairei, sosia tossici del
“lattaio del cisto”. |
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Le più
comuni modalità di consumo |
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Molteplici sono le modalità di consumo di
Lactarius
tesquorum, di cui riportiamo di seguito le
più comuni. Spritti alla tajedda
(scodella di creta). In un soffritto di olio,
aglio e peperoncino vengono tuffati i funghi
dopo abbondante lavaggio (richiedono molti
lavaggi poiché il terriccio e il fogliame secco
si insidiano nel cappello villoso. Quando i
funghi cedono l’acqua, viene spruzzato del vino
rosso e ultimata la cottura con o senza
l’aggiunta di pomodorini appesi. Alcuni usano
dare una prebollitura al fungo (in dialetto
“spuntata”). |
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Sott’olio.
I funghi vengono fatti bollire per 15 minuti in
aceto, acqua e sale (l’aceto varia da 30 al 50
%). Successivamente scolati, frettolosamente
asciugati e messi ancora caldi in vasetti di
vetro principalmente con aglio, menta e
peperoncino, coperti di olio e richiusi.
Alla brace.
Verrebbe da dire per “uomini veri”. Dopo un paio
di rigirate sulla griglia il fungo viene condito
semplicemente con olio di oliva, sale, pepe… |
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La
tradizione |
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L’utilizzo di
Lactarius tesquorum per uso alimentare nella Puglia meridionale ha
radici che si perdono lontane nei secoli,
tradizionalmente immancabile sulle tavole a
partire dalla vigilia di Ognissanti e per tutto
l’inverno.
I nomi
dialettali più utilizzati nell’area, Amarieddu,
Amarieddu ti mucchiu, Fung t mucchi, Mucchiarul,
Marieddhru, richiamano tutti il sapore
amarognolo del fungo e la sua crescita legata al
cisto (“mucchiu”). |
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Riguardo
la sua crescita legata al cisto è interessante
osservare che si ha maggiore crescita di funghi
quanto più le piante sono giovani e in zone a
ridotta densità arborea, dove è possibile un
buon irraggiamento solare del suolo. Così i
vecchi “fungiari” ricordano che in tempi lontani
si usava dare fuoco alla “macchia” quando il
cisto era soffocato da altre piante o cresceva
troppo, impedendo copiose comparse del fungo.
Una pratica scriteriata che ha probabilmente
contribuito in modo determinante alla riduzione
della macchia mediterranea nel litorale
pugliese, in quanto non di rado si perdeva il
controllo del fuoco originando incendi boschivi
devastanti. |
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Cisteto, con presenza di alcune querce (Quercus
ilex e Quercus suber).
(foto C. Agnello) |
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